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Tra le righe

Il ruolo propulsivo di Pirelli nell’innovazione del Paese ripercorso da grandi firme italiane e internazionali e dai protagonisti dell’imprenditoria, della ricerca e della cultura
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Un’impresa vive e cresce, nel tempo, se tiene la barra dritta sulla rotta dell’innovazione, consapevole di essere parte attiva del cambiamento, nel senso più completo del termine. È una responsabilità che riguarda l’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi, la finanza d’impresa legata all’economia reale, i servizi e i materiali. Ma anche l’organizzazione, le relazioni industriali, la governance d’impresa e i linguaggi del marketing e della comunicazione. Parliamo, insomma, di un’innovazione che ha come protagoniste le persone che fanno parte dell’impresa come comunità e, naturalmente, l’insieme degli stakeholders
Marco Tronchetti Provera
Marco Tronchetti Provera
Vice Presidente Esecutivo, Amministratore Delegato di Pirelli e Presidente di Fondazione Pirelli
Nel corso dei suoi centocinquanta anni di storia la Pirelli ha individuato nell’innovazione continua la sua cifra identificativa divenendo un riferimento su scala globale. L’ha fatto collaborando e investendo nella ricerca e nei giovani. Fidandosi delle loro idee, incoraggiando i loro progetti.
È necessario che formazione, ricerca e produzione sappiano valorizzare e incentivare l’interazione fra i saperi, qualunque sia la loro estrazione e natura, perché alla base di ogni innovazione e conoscenza c’è sempre un incontro, uno scambio. Le nuove sfide richiedono, oltre a competenze ampie, trasversali, flessibili, anche la creazione di contesti proattivi, generativi di innovazione organizzativa, di processo e di prodotto
Maria Cristina Messa
Maria Cristina Messa
Ministro dell’Università e della Ricerca
«L’evoluzione è la sola certezza dell’industria, che ha sempre il pedale sull’acceleratore premuto», ha scritto Gillian Darley indagando il tema della fabbrica. Una definizione che sembra rappresentare molto bene la Pirelli. Non solo per la facile metafora automobilistica, ma per quella spinta all’innovazione che l’ha contraddistinta nel tempo: industria capace di rinnovarsi, là dove cambiamento significa ricerca e abilità nell’interpretare i grandi trend di sviluppo tecnologico. Un aspetto che l’accomuna all’università e che ancora non ha esaurito la sua forza propulsiva.
La fabbrica 4.0 è la velocità del digitale, l’impatto delle nuove tecnologie sull’ambiente, la formazione della persona. È l’acquisizione di nuove competenze, l’erogazione di nuovi servizi, la trasmissione culturale. Modelli che sono sempre più incentrati sulla conoscenza. La fabbrica diventa quindi il luogo del sapere oltre che del saper fare
Ferruccio Resta
Ferruccio Resta
Rettore del Politecnico di Milano
C’è un aspetto importante che rende speciale il rapporto fra il Politecnico di Torino e il Gruppo Pirelli e che ne consolida il dialogo, presente e futuro. L’attenzione verso la contaminazione dei saperi, tecnologici e umanistici è una sfida che il Politecnico ha abbracciato con sempre maggior forza, convinto che non ci sia un’alternativa altrettanto valida per il futuro che non sia quella di formare una nuova figura ingegnere-umanista, capace di leggere la realtà con ampiezza e profondità
Guido Saracco
Guido Saracco
Rettore dell'Università Politecnico di Torino
Le imprese si sviluppano in un sistema di relazioni virtuose, sia all’interno della comunità intraprendente sia nel dialogo costante con tutti gli stakeholders, che con l’impresa interagiscono. Nella storia Pirelli le università hanno un ruolo fondamentale, da quelle di Milano e Torino alle altre cinquanta con cui, nel mondo, si realizzano progetti di ricerca e sviluppo. È la nostra “cultura politecnica”, sintesi di scienza, tecnologia e conoscenze umanistiche. Un’idea d’industria a misura delle persone
Antonio Calabrò
Antonio Calabrò
Senior Vice President Affari Istituzionali e Cultura e Direttore della Fondazione Pirelli

I nomadi digitali dei nuovi lavori

Sir Geoff Mulgan
Sir Geoff Mulgan
Fondatore del Nesta e docente presso l’University College di Londra
La maggior parte del lavoro viene svolto in squadra. Sono affascinato dal nuovo campo dell’intelligenza collettiva, che sta diventando molto più scientifico nella comprensione dei meccanismi che fanno funzionare alcuni team e altri no. Uno dei suoi messaggi più importanti riguarda i benefici offerti dalla diversità: gruppi disomogenei in cui tutti hanno la possibilità di parlare sono spesso molto più bravi di quelli omogenei a risolvere i problemi o a produrre idee valide. Mi aspetto che questa conoscenza diventi sempre più diffusa e porti con sé una migliore comprensione del modo per raggiungere la sincronizzazione all’interno dei team (con le persone che riescono ad allineare i propri pensieri e azioni) e la sinergia (dove le persone assumono ruoli complementari).
Molti analisti prevedono un aumento della domanda di professionalità legate alla risoluzione dei problemi, alla creatività e alla comunicazione, proprio le competenze per cui le macchine non sono adeguatamente progettate. Secondo una visione ottimistica, questo favorirà in futuro un’ulteriore evoluzione delle professioni d’élite, delle startup e di parti dell’economia digitale verso una maggiore enfasi sullo scopo, l’appagamento e il divertimento per riuscire ad attrarre e motivare i talenti più brillanti.

Scienza e letteratura, fare attenzione

Ian McEwan
Ian McEwan
Scrittore
Considero la scienza e la letteratura forme di investigazione. Il loro modo di conoscere il mondo differisce profondamente, ma trovano un terreno comune nella bellissima, illuminante chiamata a fare attenzione. Ora che ci troviamo a contemplare con terrore e sgomento la catastrofe climatica verso cui potremmo essere incamminati, avremo bisogno di farci guidare dalla forza di queste due grandi imprese intellettuali, se intendiamo cavarcela.
Mentre ci interroghiamo sul futuro, dovremmo soffermarci a riflettere sul passato. Nel contemplare il bellissimo atto rivoluzionario rappresentato dalla scienza, può essere utile fare appello alle risorse della letteratura. Torniamo allora indietro con l’immaginazione di 2367 anni, fino a una laguna incontaminata sull’isola di Lesbo, nel Mediterraneo, dove un uomo di quasi quarant’anni se ne sta sulla riva a contemplare le acque poco profonde brulicanti di vita animale e vegetale. Nei due anni successivi la studierà e annoterà le sue osservazioni, gettando le basi di una disciplina che prenderà il nome di biologia.

L'immaginazione oltre le macchine

David Weinberger
David Weinberger
Filosofo
La tecnologia ha sempre avuto lo scopo di ampliare l’ambito delle possibilità: gli aratri in ferro hanno fatto sì che nuovi appezzamenti di terreno potessero essere coltivati; gli orologi di precisione hanno reso la navigazione attraverso gli oceani molto più affidabile; il motore a vapore ha trasportato l’energia dal luogo in cui era prodotta a quello in cui era necessaria, invece che costringerla nel punto di origine. Oggi, però, siamo di fronte a due tecnologie che non soltanto ampliano il novero delle possibilità, ma cambiano anche il concetto stesso di possibilità. Ciò significa a sua volta che queste due tecnologie stanno cambiando il modo in cui pensiamo che il mondo funzioni e che il futuro accada.
È certamente un’affermazione forte, ma va detto che queste due tecnologie sono davvero rivoluzionarie: si tratta di Internet e dell’intelligenza artificiale intesa come apprendimento automatico (machine learning, o ML).
C’è un filo costante che lega i diversi modi in cui noi esseri umani abbiamo pensato il futuro. Non importa che la nostra cultura abbia variamente concepito il futuro come ciclico, lineare, progressivo, orientato a un fine o aperto: almeno a partire dal Paleolitico abbiamo cercato di affrontare il futuro anticipandolo e preparandoci a esso: abbiamo costruito asce di pietra perché ne avevamo in anticipo ravvisato il bisogno, così come abbiamo appreso a conservare le sementi in previsione della stagione successiva.

Ritratto di un pioniere

Ernesto Ferrero
Scrittore
Aveva scelto la neonata industria della gomma elastica, o più precisamente del caoutchouc, in italiano caucciù, che mandava il suono allegro di uno schiocco infantile. Era il nome del nuovo mirabolante ritrovato che prometteva un numero notevole di applicazioni e in Italia mancavano le manifatture dedicate. Era (sarebbe diventato) elastico, resistente, impermeabile, isolante. Ancora studente, Pirelli era rimasto colpito dal racconto di un ingegnere francese, che per conto delle Ferrovie Italiane era stato incaricato del ricupero dell’Affondatore, un ariete corazzato della Marina danneggiato durante la battaglia di Lissa e inabissato nella baia di Ancona. Aveva ricordato che mancavano i tubi di gomma per le pompe di sollevamento dello scafo. Introvabili in Italia, occorreva importarli dalla Francia. Il racconto era rimasto nelle memorie familiari come una specie di leggenda di fondazione. La scelta di dedicarsi all’industria della gomma non era stata netta e definitiva sin dall’inizio. Il neoingegnere si riservava di studiare quel che andava maturando nella nascente industria, ma il suo maestro Colombo, profondo conoscitore del comparto manifatturiero, lo aveva convinto a scartare il tessile, già troppo affollato, per puntare a un settore nuovo e in forte sviluppo, malgrado le difficoltà da risolvere.
Giovanni Battista Pirelli

L’eleganza industriale della gomma

Giuseppe Lupo
Scrittore e docente universitario
Sono trascorsi poco più di cinque anni dalla nascita dell’azienda e già si intravedono i caratteri costitutivi – la varietà degli interessi, la spinta a innovarsi, la ricerca nel campo chimico – che contribuiranno, da una parte, a soddisfare le esigenze di una nazione ancora troppo giovane ma già ambiziosa di essere protagonista della storia europea e, dall’altra, a conquistare la fiducia del governo italiano in modo da sostituire pian piano le ditte estere nella fornitura di quei prodotti – i fili telegrafici ricoperti di caucciù o i cordoni elettrici sottomarini – destinati a uso civile e militare. «La nostra industria è per natura, e dappertutto, progressiva» si legge in una relazione redatta da Giovanni Battista nel 1880, proprio alla vigilia dell’Esposizione Nazionale, il grande evento con cui Milano, vent’anni dopo l’Unificazione, si consacra capitale morale ed economica del Paese, la «città più città d’Italia», come ebbe a scrivere Giovanni Verga. «Progressiva» è un termine che coglie perfettamente lo spirito che si respira nella fabbrica di via Ponte Seveso.
Luca Comerio, L'uscita delle maestranze
Luca Comerio, L'uscita delle maestranze Pirelli davanti alla prima fabbrica di via Ponte Seveso, 1905

La ripartenza dopo i traumi delle guerre

Monica Maggioni
Giornalisa, scrittrice e documentarista
C’è una ragione per cui, parlando dell’industria Pirelli e del suo rapporto con l’innovazione – e con il Paese –, non è possibile non dedicare uno spazio tanto ampio alle attività politico-diplomatiche di Alberto. Nel suo atteggiamento intransigente, fortemente schierato nella difesa dell’interesse nazionale ma al tempo stesso cosmopolita e aperto al mondo, si coglie una battutestica definente del suo modo di “fare azienda”. Pirelli è attento al mondo, alle innovazioni, agli stimoli che vengono anche dai contesti meno prossimi al milieu industriale milanese; ma è in grado di trovare un equilibrio nel rapporto con le istituzioni e la politica nazionali. In lui coesistono visione e pragmatismo. E questo, forse, aiuterà a meglio comprendere la complessità – e il senso – delle fasi successive della sua vita.
Alberto Pirelli e il figlio Leopoldo
Alberto Pirelli e il figlio Leopoldo, anni Sessanta

La tensione della crescita produttiva

Claudio Colombo
Giornalista
Milano è al centro di tutto: città aperta e inclusiva per eccellenza, è la metropoli degli incroci di culture, della convergenza virtuosa tra letteratura e industria, teatro e finanza, musica e scienza. Milano e i milanesi riemergono dal buio della ragione frequentando di nuovo cinema e teatri, ma anche poli intellettuali come il Centro Culturale Pirelli, dove la gente comune si confronta con letterati, musicisti, scienziati, registi. Oppure seguendo le tante iniziative editoriali che fioriscono in quegli anni. Nel novembre 1948 esce il primo numero della Rivista Pirelli («Pirelli. Rivista d’informazione e di tecnica» è il nome esatto della testata), fondata da Giuseppe Luraghi e diretta dal “poeta-ingegnere” Leonardo Sinisgalli: un luogo aperto di lavoro e di studio, palestra di talenti del pensiero, sintesi perfetta di quella cultura politecnica a cui presteranno il genio, per un quarto di secolo, le eccellenze della cultura italiana ed europea: scrittori, scienziati, poeti, musicisti e Premi Nobel come Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo. Interpretare lo spirito del tempo, raccontare i processi di sviluppo economico e sociale, creare un ponte tra impresa e cultura sono le tracce su cui si muove la rivista.
Pubblicità del pneumatico Rolle Pirelli
Pubblicità del pneumatico Rolle Pirelli per la Fiat 600, 1955

Tecnologie digitali per lo sviluppo

Pierangelo Misani
Senior Vicepresident Ricerca&Sviluppo e Cyber di Pirelli
C’è un’altra sfida che abbiamo già iniziato da tempo ad affrontare, ed è la sfida della sensorizzazione dei dati, un altro tassello fondamentale che si sta aggiungendo al percorso di evoluzione delle competenze necessarie per affrontare gli scenari del prossimo futuro. Il sensore all'interno del pneumatico – il nostro progetto ha un nome: Cyber Tyre, significa produrre un pneumatico in grado non solo di fornire prestazioni, grip e sicurezza, ma anche di trasmettere dati e informazioni. Come si guida oggi una macchina? Chi è al volante ha una sua percezione possiamo dire fisica di quello che sta avvenendo e quindi corregge di sterzo, di acceleratore, di freno in funzione di quella che è la sua percezione visiva. Con l’arrivo della guida autonoma questa percezione fisica non ci sarà più. L’autonomo funziona con i dati, li elabora e mette in campo una strategia complessa che consente alla vettura di muoversi e di evitare ostacoli: chi è in grado di fare questo passo in avanti e lavorare sui dati avrà un vantaggio competitivo. Il vero traguardo sarà quello di raggiungere un allargamento delle competenze legate al mondo dell’elettronica e alla capacità di elaborare in algoritmi di calcolo le prestazioni.
R&D Laboratories Pirelli a Milano Bicocca
R&D Laboratories Pirelli a Milano Bicocca, Il simulatore, foto Carlo Furgeri Gilbert, 2021

Cambio di passo tra potenza e controllo

Bruno Arpaia
Scrittore
Negli anni Ottanta, i settori di mercato in cui il gruppo era impegnato avevano avuto un andamento altalenante, e la Pirelli aveva risposto sia con il tentativo di aumentare le proprie dimensioni e le proprie aree di intervento con acquisizioni e integrazioni (mirate anche alla possibilità di maggiori investimenti nella ricerca), sia scommettendo ancora una volta sulla qualità e sulla novità dei propri prodotti. Nel 1981, finito il sodalizio con la Dunlop, l’azienda della Bicocca era tornata in Formula 1 dopo venticinque anni di assenza, fornendo gomme alla Brabham, alla Lotus, alla Benetton. La Formula 1 era il laboratorio perfetto per mettere alla prova nuovi processi di costruzione, nuove forme e strutture dei pneumatici, nuovi materiali e nuove mescole, da trasferire poi sui pneumatici di serie. Quell’esperienza, inoltre, si integrava con il lavoro della divisione ricerca e sviluppo della Bicocca, dove le gomme, le carcasse e le mescole venivano testate al simulatore, con carichi e trazioni superiori perfino a quelli dei veicoli da competizione. Era stato così che, negli anni Settanta, entrando nel campo del rally, la Pirelli aveva sviluppato il rivoluzionario P7, un “super-ribassato” che, con una spalla più rigida e una minore deriva, era riuscito a superare tutti i limiti di cui soffrivano i pneumatici del tempo e tutti i pregiudizi secondo i quali un radiale non avrebbe mai potuto soddisfare i requisiti richiesti a un pneumatico da competizione. Dopo il successo nei rally, il cinturato P7 era stato utilizzato anche su pista, prima in Formula 2 e poi in Formula 1.
Il pilota Massimo Biasion su Lancia Delta S4
Il pilota Massimo Biasion su Lancia Delta S4, 1986

I valori d’impresa per la sostenibilità

Padre Enzo Fortunato
Direttore Rivista San Francesco e portavoce del Manifesto di Assisi
Ermete Realacci
Presidente Fondazione Symbola
«L’Italia, partita da un dopoguerra disastroso, è diventata una delle principali potenze economiche. Per spiegare questo miracolo, nessuno può citare la superiorità della scienza e dell’ingegneria italiana, o l’efficacia della gestione amministrativa e politica. La ragione vera è che l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura, e che città come Milano, Parma, Firenze, Siena, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza. Molto più che l’indice economico del PIL, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società». Una risposta parziale, perché quegli anni vedono anche il Nobel per la chimica a Giulio Natta e la parte più intensa dell’avventura di Adriano Olivetti, in cui la tensione umanistica dell’impresa, la spinta all’innovazione tecnologica e l’attenzione alla comunità, ai lavoratori, alla cultura sono indissolubilmente legate. Un’esperienza troppo spesso considerata esemplare ma isolata, invece è la punta dell’iceberg di un modo di stare al mondo, di concepire la propria missione fatto proprio da una parte importante delle imprese e dei territori italiani. Il possibile retroterra di una sfida sulla sostenibilità e sulla green economy. Siamo dunque, se lo vogliamo, in grado di svolgere un ruolo importante, in Europa, nella sfida aperta per contrastare la crisi climatica e costruire «un mondo più sicuro, civile, gentile».

I luoghi dell’industria patrimonio culturale

Paola Dubini
Professoressa di management - Università Bocconi Milano
I progetti di rigenerazione urbana – che coinvolgono porzioni non piccole ma circoscritte di città di medio-grandi dimensioni – comprendono in genere edifici emblematici che hanno la funzione di costruire nuovi immaginari, sottolineare l’eccezionalità dell’intervento, attirare risorse e attenzione per un periodo di tempo sufficiente per permettere la realizzazione dell’operazione complessiva e la mobilitazione di un’adeguata varietà di interlocutori. La necessità di riutilizzare gli spazi, contrastare il calo di popolazione, trasformare l’economia locale è comune a tutte le principali città occidentali; la presenza di ampi spazi dismessi ha portato all’attivazione di partnership pubblico-private che hanno coinvolto gruppi internazionali e imprese immobiliari. Attori importanti nell’affermazione delle città creative e nella costruzione ed evoluzione degli immaginari urbani sono alcuni studi di architettura operanti a livello internazionale, le archistar, che nell’ambito dei progetti di riqualificazione dei quartieri e delle città firmano l’edificio iconico a destinazione culturale, simbolo dell’intero intervento: un teatro d’opera, un museo, una biblioteca.
Carlo Fulgeri
Fotografo e Regista

Il volto sorprendente di materie prime e simulatori high-tech

Osservo i prodotti, i materiali, ne osservo le trame, i colori, le forme, ne sento gli odori; improvvisamente tutto questo si trasforma e diventa altro, diventa racconto, diventa suono, diventa quadro, scultura, città, persone, diventa un mondo che raccoglie le migliaia di ore di lavoro di operai, ingegneri, scienziati, braccianti, agricoltori, che raccoglie la visione di quelle persone che hanno creato quel prodotto, quella materia. Ed è attraverso la fotografia che sono in grado di raccontare quel mondo. La fotografia non può quindi essere oggettiva perché è la mia visione delle cose ed esiste tra le altre milioni di visioni possibili.
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